La cripta di S. Domenico

LA CRIPTA DI S. DOMENICO ERA L’ANTICO “PUTRIDARIUM” DEL CONVENTO?

Un antico pensatore greco sosteneva che qualche volta l’intuizione ha del prodigioso più della divinazione. Debbo all’intuizione dell’architetto Lorelli l’avvio di una nuova ricerca sulla cripta posta sotto l’altare della chiesa di S. Domenico. Da sempre abbiamo letto e, a nostra volta ripetuto, che quell’ipogeo fosse stato in origine la tomba dei feudatari Caracciolo e poi dei d’Aquino e di qualche esponente di nobile famiglia nicastrese come Don Damiano Statti. L’architetto Lorelli mi ha fatto notare la somiglianza di questa cripta con analoghi ipogei per l’essiccazione dei cadaveri conservati in tante chiese del Mezzogiorno, noti col nome di scolatoi. Mi è venuta subito in mente la cripta-scolatoio della chiesa di S. Agostino alla Zecca di Forcella a Napoli, visitata nel lontano 1970 con alcuni compagni di studio mentre frequentavo l’Università Federico II. Mi è venuta anche in mente, dopo che l’architetto Lorelli me l’ha ricordata, l’espressione napoletana “puozze sculà”.

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Chiesa di San Domenico

In quella cripta si conservano le cosiddette tombe a scolatoio, ovvero delle piccole cavità di pietra a forma di sedia in cui si appoggiava il cadavere in posizione fetale per fargli perdere i liquidi: una sorta di mummificazione che ha dato origine alla suddetta espressione napoletana “puozze sculà”. Questi ambienti sono indicati scientificamente col nome di “putridaria”. L’usanza dei “putridaria” era diffusa principalmente nel Regno delle Due Sicilie ove erano noti anche come “camere di mummificazione” o “colatoi a seduta” per distinguerli dai colatoi orizzontali. Nell’area napoletana erano chiamati “cantarelle”. Nonostante fosse osteggiata dalla Chiesa in seguito a precise disposizioni del Concilio di Trento (1563), questa pratica degli scolatoi per la decomposizione e scheletrizzazione dei cadaveri rimase in uso nei secoli XVIII-XIX soprattutto per le élites sia laiche che ecclesiastiche. Scomparve definitivamente solo all’inizio del XX secolo con l’entrata in vigore di rigorose norme igienico-sanitarie.

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Cripta di San Domenico

Per capire l’attinenza della nostra ipotesi sulla cripta di S. Domenico è opportuno spiegare meglio com’era un “putridarium”, riferendoci ad alcuni tra i tanti in Italia, ancora oggi visitabili, come quello delle Clarisse presso il castello aragonese di Ischia, quello della chiesa di S. Bernardino alle Ossa di Milano, quello delle catacombe di San Gaudioso sotto la basilica di Santa Maria della Sanità a Napoli, quello della chiesa di Santa Maria Ante Saecula e di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco sempre a Napoli, quello delle catacombe dei Cappuccini e dell’Oratorio del Carminello a Palermo, quello della cripta della basilica di Sant’Andrea delle Fratte a Roma. Il “putridarium” era, in effetti, un vero e proprio ambiente funerario sotterraneo, una cripta scavata sotto il pavimento della chiesa o del monastero, in cui i cadaveri delle monache o dei frati defunti venivano collocati dentro nicchie poste lungo le pareti, seduti su appositi sedili-scolatoio in muratura. Questi sedili avevano un foro centrale e un vaso sottostante per la raccolta dei liquidi cadaverici. Oppure questo vaso mancava e i liquidi venivano concentrati in una piccola fossa posta al centro del pavimento della cripta. Una volta terminato il processo di putrefazione dei corpi, gli scheletri venivano lavati e trasferiti nell’apposito ossario o vi venivano lasciati.

Qual era il significato religioso di questa operazione lugubre ed impressionante? Una spiegazione che viene data è la seguente: il processo di disfacimento della carne del cadavere (ritenuto elemento contaminante) fino alla completa liberazione delle ossa (ritenute simbolo della purezza) aveva lo scopo di rappresentare visivamente le varie fasi della purificazione affrontate dall’anima del defunto nel suo viaggio verso l’eternità. Perciò queste fasi erano accompagnate dalle continue preghiere dei confratelli e delle consorelle. E’ quello che accadeva, ad esempio, nel convento del su citato convento delle clarisse di Ischia dall’anno della fondazione nel 1577 fino alla chiusura definitiva del convento. Ogni giorno le suore scendevano nello scolatoio a far visita ai corpi in decomposizione delle consorelle morte. La vista di quei corpi doveva servire loro per meditare sulla fragilità della carne e sulla pochezza della vita terrena. Questa doveva essere la realtà anche della cripta del convento di S. Domenico, fondato nella prima decade del XVI secolo, dove oggi sono visibili solo i sedili di pietra. La nostra immaginazione, visitando oggi questo ipogeo, stenta a ricostruire che cosa fosse quella cripta, che cosa vedessero i frati domenicani che vi scendevano, che aria nauseabonda vi si respirasse.

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Affresco

La stessa domanda ce la siamo posta visitando l’analoga cripta-scolatoio dei monaci dell’ordine dei Pasqualini nella chiesa della Madonna SS. delle Gazie a Pizzo. È un emiciclo di sedili di pietra con scolatoi di raccolta dei liquidi organici dove i monaci defunti venivano appesi. Anche qui la vista di questo ambiente lugubre lascia senza parole. Ma bisogna riflettere sul rapporto del tutto diverso che in quei lontani secoli si aveva con la morte, specialmente negli ambienti monastici, al contrario di oggi in cui tutto ciò che ha a che fare con la morte viene rimosso. Infatti, anche se certamente la vista dei corpi dei confratelli o consorelle morte, seduti sugli scolatoi in questi ipogei o cripte, suscitava molta impressione in quelli che vi si recavano a vederli, vi era allora una maggiore consuetudine alla vicinanza con la morte e con i suoi effetti devastanti. Il quesito che ci poniamo, quindi, è il seguente: la cripta della chiesa di S. Domenico originariamente era un “putridarium” per i cadaveri dei monaci, poi trasformato in piccolo cimitero per la sepoltura dei feudatari e di alcuni membri di nobili famiglie? A tal proposito l’ing. Luciano Berti, di cui la rivista lametina Storicittà ha pubblicato una nota su questa cripta da lui visitata e fotografata nel 1956, ricordava la presenza di una piccola fossa di raccolta liquidi posta al centro del pavimento e si poneva l’interrogativo sul suo significato. Lasciamo a qualche giovane studioso il compito di approfondire l’argomento e di avvalorare o smentire la nostra ipotesi.

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La storia della chiesa di S. Domenico