Francesco Stocco: dalla nascita al Volturno

Gli Stocco, don Odoardo e don Antonio, patrizi cosentini, di provata fede borbonica, hanno avuto un ruolo importante nel 1799 nell’Armata della Santa Fede del cardinale Fabrizio Ruffo contro gli occupatori francesi del Regno di Napoli. Don Antonio Stocco ebbe un ruolo determinante anche nella sollevazione dei paesi del Reventino contro la seconda occupazione dei francesi nel marzo 1806. Lo leggiamo in un documento conservato nella busta n. 243 dell’Archivio di Stato di Napoli, Sezione archivi privati, Casa reale, Archivio Borbone: “Fu egli il primo a far la controrivoluzione in Mannelli, Soveria ed altri paesi, e a massacrare un significante numero di francesi, per cui i generali Reynier e Verdier accorsero con molte migliaia di uomini per incendiare e saccheggiare quei paesi”. E ancora: “Il cavaliere Don Antonio Stocco, appena seguito lo sbarco degli inglesi, chiamò tutte le popolazioni armate per agevolare le operazioni del riacquisto, e spedì gran numero di gente a massa per la ripresa di Cosenza e Catanzaro, come si rileva da una lettera del generale Stuart”. In seguito al trattato di Presburgo del 26 dicembre 1805 Napoleone emanava il famoso proclama di Schonbrun (27 dicembre 1805) che sanciva la detronizzazione dei Borboni. Un’armata di circa quarantamila soldati invadeva il regno di Napoli.

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Francesco Stocco: ritratto

Il 23 gennaio il re Ferdinando, insieme alla regina e alla corte, riparava in Sicilia dopo aver nominato vicario del Regno il figlio Francesco, duca di Calabria, che era il principe ereditario. Anche Francesco però dovette ben presto abbandonare Napoli insieme al fratello Leopoldo. Era il 10 febbraio 1806. I francesi erano ormai nei pressi della capitale che, in effetti, fu occupata dalle avanguardie napoleoniche il 14 febbraio. I due principi si ritiravano con l’esercito borbonico verso la Calabria per organizzarvi la difesa. Ma prima a Lagonegro e poi a Campotenese, dove si era tentata l’ultima resistenza, confidando nel vantaggio del sito, il raffazzonato esercito borbonico subì la disfatta. Era il 9 marzo. I due principi reali accelerarono la fuga verso la Sicilia. A metà del mese di marzo, provenendo da Cosenza, giunsero a Decollatura e furono ospitati in casa Stocco. Leopoldo si era ammalato e veniva trasportato in lettiga. Per ricambiare l’ospitalità ricevuta e come segno di gratitudine per i servigi prestati alla causa borbonica, il principe ereditario Francesco battezzò il figlio di don Antonio Stocco, capitano e maggiore interino dei dragoni della provincia di Cosenza. Al neonato fu imposto il nome del Principe e gli fu conferito, benché ancora in fasce, il titolo di cavaliere di Malta. A tal proposito, Francesco Fiorentino che nel 1881 scrisse l’elogio funebre di Francesco Stocco, osservava: “In tanta splendidezza di regali favori chi avrebbe potuto indovinare il più pertinace nemico del trono dei Borboni?”.

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Francesco Stocco: certificato di battesimo

Ecco il documento dell’archivio Borbone, che ricorda il battesimo di Francesco Stocco da parte del principe ereditario: “Il Capitano Don Odoardo Stocco Patrizio della Città di Cosenza e Maggiore interino del secondo Reggimento di fanteria di detta provincia, espone di essere egli stato il primo a disimpegnare con esattezza e zelo le commissioni assegnategli dal Colonnello Carbone e dal Maggiore Panedigrano per l’unione delle Masse nella passata invasione de’ Francesi, per cui essendosi S. A. il Real Principe Ereditario ritirato in Sicilia per la via delle Calabrie, onorò la casina del ricorrente in Decollatura ove battezzò un bambino figlio del fratello di lui, Capitano Don Antonio Stocco. Aggiunge non aver potuto per la sua numerosa famiglia seguire l’A. S. in Sicilia; essersi però ritirato in Nicastro; aver sofferto per parte de’ Francesi il saccheggio di tutti li suoi beni; aver promossa coi suoi fratelli la controrivoluzione per discacciare gl’invasori; ed essersi portato in S. Eufemia con gran numero di Masse, quando vi giunsero gli Inglesi. Ultimamente per le nuove circostanze della Calabria egli è fuggito a Messina con tutta la sua famiglia, e ritrovandosi vacante l’impiego di Colonnello del Secondo Reggimento di fanteria della Provincia di Cosenza, chiede che gli sia conferito in compenso de’ servigi prestati”. Da Decollatura i due principi, scortati dal Maggiore Nicola Gualtieri Panedigrano, giunsero a Nicastro dove furono alloggiati in casa Ippolito. L’avversione contro i Borboni, il suo coraggio e il ruolo importante di condottiero nella spedizione dei Mille Francesco Stocco li dimostrò nell’ultimo e decisivo atto, al Volturno, nella decisiva battaglia dell’1-2 ottobre 1860. L’episodio è ricordato da Enrico Borrello che lo descrisse in un articolo del Giornale d’Italia del 2 febbraio 1948. Lo riportiamo così come è stato sintetizzato da Luciano Berti nel volume “Gente e paesi dei monti della pece” in corso di pubblicazione. Sulle alture di Caserta vecchia era rimasta una colonna borbonica di 5.000 soldati (comandata dal generale Perone) tagliata fuori dall’esercito che si ritirava oltre il Volturno e che cercava di avanzare verso la pianura.

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Francesco Stocco: statua

Garibaldi gli inviò contro un forte gruppo di garibaldini, fra i quali i calabresi della Divisione Stocco “Cacciatori della Sila” e un battaglione di bersaglieri piemontesi. Questo gruppo garibaldino riuscì a far arretrare i borbonici fino ad un ciglione dal quale però potevano meglio far fuoco sui volontari calabresi che furono costretti a fermarsi esitanti. Accorse Garibaldi e si mise a gridare: “Perché vi fermate? Non siete più i valorosi calabresi della Calabria?”. Meno elegante, ma certamente più efficace fu il grido di Francesco Stocco: “Come? Davanti a Garibaldi vi fermate? Su, su, perdio, o io vi ci spingo a calci nella schiena”. E l’impavido condottiero di Decollatura, con il braccio ferito a Calatafimi legato al collo da una benda, saliva per primo all’assalto agitando uno scudiscio nella mano sinistra e urlava come una belva vedendo i suoi volontari tentennare. La sua presenza li scosse, infuriò la battaglia e 2500 soldati borbonici si arresero. Gli altri accerchiati dalle schiere del generale Sacchi furono arrestati. Però una decina di giovani volontari calabresi della divisione Stocco, che erano in avanguardia, si ritrovarono soli in mezzo alla campagna esposti ai tiri che venivano da un vecchio convento nel quale si era trincerata una compagnia di borbonici. Senza pensare alla morte, quei 10 giovani calabresi si gettarono avanti e riuscirono a penetrare nell’androne che attraversava il convento. Da sopra si sentì immediatamente un grido: “Non sparate, ci arrendiamo”. Un volontario pronto gridò: “Fermi tutti, chiudete le finestre, deponete le armi e scendete alla spicciolata”. Si vide così una vicenda singolare: più di 130 soldati borbonici fatti prigionieri da 10 ragazzi. Subito dopo giunse il resto della Divisione Stocco.