Collezione stampe antichi mestieri: si tratta di un prezioso catalogo di testi e di immagini intitolato “Arti e mestieri per via”, curato dalla Collezione Museo Gianni Brandozzi di Ascoli Piceno con la collaborazione del Museo delle Arti e tradizioni Popolari di Roma, del Museo delle Genti d’Abruzzo, della provincia di Reggio Calabria. Il volume, ricco di straordinarie immagini, comprende diversi saggi tra cui; “Le principali raccolte e stampe sui costumi e mestieri popolari per via dal XVI al XIX secolo”; “Storia dei mestieri ambulanti”; “Antichi mestieri del Regno di Napoli”; “Mestieri e costumi di Calabria”. Di quest’ultimo saggio, da me curato, eccone una sintesi:

Mestieri

La Calabria è stata protagonista di storia e di civiltà. Segnata per più di duemila anni da invasioni, guerre, occupazioni da parte di popoli diversi (greci, romani, albanesi, normanni, saraceni, bizantini, longobardi, provenzali), conserva tracce profondissime del suo passato nella cultura, nel folklore, nella stessa struttura etnica della regione. Le differenti tradizioni e culture della Calabria si rispecchiano soprattutto nell’artigianato che oggi non è solo un fatto folkloristico, ma uno dei settori più importanti della economia regionale. E’ difficile tracciare una mappa dell’artigianato calabrese in quanto non c’è paese piccolo o grande che non vanti una propria specialità. Come scriveva Mario Soldati, l’artigianato è il segno distintivo del modo di vivere dei calabresi. Le produzioni artigianali sono innumerevoli per cui ci limitiamo ad evidenziare le più importanti e significative. Cominciamo dall’arte tessile calabrese. La lunga consuetudine del telaio a mano ha conservato fino ad oggi la tradizione di tipici tessuti (arazzi, coperte, tappeti) celebri e apprezzati in Italia e all’estero.

Lamezia Terme

Arti e mestieri

Nei paesi greco-albanesi come San Marco Argentano, Firmo, Lungro, Spezzano Albanese, San Benedetto Ullano e Fagnano Castello, ricchi di tradizioni artigianali e folkloristiche, sopravvivono ancora i caratteristici, vivaci costumi tradizionali delle donne trapunti d’oro e d’argento. Un centro rinomato di arte tessile è Longobucco dove ancora oggi nei telai a mano si producono veri e propri tesori artigianali rappresentati da tipici arazzi, coperte e tappeti di lana, seta e cotone su cui si sbizzarrisce, con gusto antico e raffinato, la fantasia degli artigiani locali. Anche a San Giovanni in Fiore c’è una fiorente tradizione artigianale di smaglianti tappeti orientali, stupende stoffe ed estrose coperte arabescate, che tramanda segreti e segni antichissimi della lavorazione a mano. Anche a Gerace il telaio domestico continua a produrre splendidi tessuti e preziose coperte in cui rivive il ricordo dell’antico mondo ellenico e bizantino. La lavorazione di tessuti al telaio è ancora viva in tanti altri paesi come Cortale, Montepaone, Serrastretta, Gagliato, Soveria Mannelli, Satriano. A Magisano sopravvive l’antica arte del ricamo. Rinomati sono anche i ricami delle artigiane di Maropati. Un altro settore assai caratteristico dell’artigianato tipico calabrese è quello dei falegnami intagliatori del legno ancora operanti a Montauro, Gasperina e Simeri Crichi. In particolare Serrastretta è famosa per la produzione di sedie caratterizzate da una originalissima impagliatura. A Fagnano Castello vengono prodotte esclusive sedie di legno di faggio impagliate con la ‘tifa’. L’artigianato delle sedie (“I seggiari”) sopravvive anche Cinquefrondi e a Montepaone dove è rinomata la lavorazione della paglia intrecciata per la produzione non solo di sedie, ma anche di mobili per interni.

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Articolo

In molti paesi calabresi come Polistena, Laureana, Montegiordano, Soriano, Pianopoli, Cortale è viva ancora la lavorazione dei vimini. Ceste di ginestra e salice vengono prodotte a Santa Caterina Albanese. A Sangineto si conserva ancora la lavorazione di oggetti in salice, canna e giunco. A Saracena sono noti gli artigiani che lavorano le pelli. A Belvedere Marittimo, in cui, come è stato giustamente detto, tutto il popolo è artista, gli artigiani, depositari di un’arte rara e inimitabile, lavorano la creta, il legno e il ferro battuto creando prodotti di un artigianato glorioso. Famosa per la lavorazione del ferro battuto è anche Laureana dove vengono realizzati i caratteristici balconi e i battiportone. A Seminara operano ancora i ‘pignatari’ che, intenti al tornio a mano e alla fornace, producono autentiche opere d’arte ceramica con forme e colori mutuati dal mito. Un centro in cui si creano splendide terrecotte ottenute con argilla cotta in forno a temperature altissime è Torano Castello. Ma sono famose soprattutto le ceramiche di Squillace. In passato molte botteghe di ceramisti operavano a Nicastro (oggi Lamezia Terme). Anche Bisignano è conosciuto per un artigianato delle terrecotte smaltate a fuoco con colori bianco latte e azzurro che la tradizione attribuisce alle antiche ceramiche di Sibari. Ma di questo paese bisogna ricordare i maestri liutai famosi in tutto il mondo per la loro pregiata ed artistica produzione di strumenti musicali a corda, caratterizzati da un suono particolarmente dolce e vibrante, dovuto ad una combinazione di elementi tra i quali la scelta dei legni, le proporzione, le colle utilizzate. Tali strumenti, di incomparabile bellezza, sono ritenuti pezzi unici per la loro purezza creativa e potente acustica. Nei piccoli centri della Sila, definita il Canada italiano, dove la natura si presenta con le attrattive più seducenti, l’artigianato è ancora oggi fiorentissimo, specialmente quello tessile, con tappeti e arazzi, caratterizzati da vivaci motivi decorativi tradizionali, famosi in Italia e all’estero. Vi si producono anche oggetti di legno lavorato a mano, borse, cuscini, cestini di ginestra. La filatura della ginestra da cui si ricavano tappeti e arazzi sopravvive ancora oggi nei paesi calabresi di lingua grecanica come Bova, Roghudi, Gallicianò in provincia di Reggio Calabria. A Brognaturo, a San Vito sullo Ionio e a Bocchigliero si lavorano le pipe ricavate dalla radica di erica, che vengono esportate in tutt’Italia. C’è ancora qualche paese, come Antonimina, in cui si continua ad allevare il baco da seta. Famosi gli scalpellini di Gimigliano e Delianuova che lavorano, con tecniche tramandate di generazione in generazione, il marmo verde estratto dalle locali cave. Invece a Ischia sullo Ionio sono conosciuti gli intagliatori del granito. L’arte dei maestri ramari risalente al XIV secolo è fiorente ancora a Dipignano, un caratteristico paese del cosentino definito la patria dei calderai, famosi per la lavorazione del rame. A Cariati invece resiste ancora una antica tradizione cantieristica per la costruzione di barche da pesca.

Costumi

Per quanto riguarda i costumi tipici della Calabria, ci limitiamo ad indicare quello che connotava fino ad alcuni decenni addietro l’abbigliamento femminile della ‘pacchiana’, oggi praticamente scomparso. Anche il costume tradizionale maschile può dirsi quasi totalmente scomparso ad eccezione di alcuni elementi, conservatasi specie presso i pastori. Esso ha rappresentato per secoli uno dei tratti più caratteristici dell’ambiente popolare calabrese, anche attraverso l’iconografia del famoso “brigante”. Alla fine del secolo scorso, questo vestito si era fedelmente conservato tanto che Caterina Pigorini Beri (In Calabria, 1892) lo descrisse minuziosamente: “Il giubbetto corto, tagliato militarmente […] e con le mostre e i risvolti con una certa pretesa guerresca e i bottoni lucidi, sovrasta ad una specie di panciotto rigidamente abbottonato, fin dove cominciano i calzoni, tenuti su da una larga cinghia di cuoio affibbiata, o da una sciarpa rossa e scozzese a larghe righe a colori vivaci.... ecc.”.

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Costume Pacchiana

Nella prima Mostra provinciale d’arte popolare tenutasi a Cosenza nel 1937 tale costume figurava esposto nella sua completezza, compreso il cappello specialissimo a cono “coperto di vellutini fino al vertice, i quali ricadono in abbondanti fiocchi sulle falde, e, perché troppo stretto sulla testa, è raccomandato ad un laccio legato sotto il mento”. Ma torniamo alla ‘pacchiana’. Con questo termine deve intendersi non solo la contadina, ma in genere la donna di modeste condizioni contrapposta alla signora che veste secondo la moda di Napoli. Il costume della ‘pacchiana’ non è uguale in tutti i paesi, ma in ogni comunità presenta delle varianti. Così, ad esempio, il costume delle pacchiane di Nicastro consiste in un panno rosso intorno alla vita e sopra una gonna lunga con ricca plissettatura e, raccolta e legata dietro, in modo da formare una coda. Certamente i vari pezzi che compongono l’abito delle pacchiane calabresi hanno una simbologia sia nei colori adottati, sia nella scelta e lavorazione della stoffa utilizzata. Possiamo dire che tutto il vestito, in ogni sua parte, era come una carta d’identità; era un’allegoria dello stato sociale della donna che lo indossava. Così a Nicastro il costume di ‘pacchiana’ veniva indossato per la prima volta intorno ai 15 anni e segnava il passaggio dalla adolescenza alla giovinezza. Il rito, con la partecipazione di parenti ed amici, non avveniva in un giorno qualunque dell’anno bensì in occasione di una festa importante come quella del compatrono della città S. Antonio (il 13 giugno) oppure a Natale o a Pasqua.

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Costume Pacchiana

Ecco come era composto il vestito della pacchiana di Martirano, storico paese del Reventino. Sette erano i pezzi caratterizzanti: “a cammisa janca longa”, una camicia di tela equivalente all’attuale sottoveste; “u cursè”, corsetto munito di stecche rigide; “u pannu” (rosso se sposata, nero se vedova, marrone se signorina), che lascia intravedere dall’orlo “a cammisa”; “a cammigetta” (camicetta di cotone, ma se elegante è di pizzo o velluto);“a gunneddra” (gonna riccia o plissettata, nera se vedova); “u mantisinu” (grembiule, se elegante è di seta) che ricopre la “gunneddra”. Quest’ultima veniva portata in modo da formare posteriormente una grossa coda; la parte anteriore veniva raccolta all’altezza della vita e ripiegata all’indietro con un nodo che ne formava la coda. Infine “u mannile”, striscia di stoffa che ricopriva la testa scendendo lungo il dorso fino alla vita.

Come si vede, la “pacchiana” attraverso il colore del capo principale del suo vestiario, cioè il “panno”, esprime anche lo stato civile. E il colore varia da paese a paese. Così, in alcuni paesi, il verde viene indossato dalle nubili, il rosso dalle coniugate, mentre il nero è il colore del “panno” delle vedove. Sono evidentemente dei segni connotativi di immediata lettura da parte di chi osserva. Ecco un altro esempio: la pacchiana di Conflenti, altro paese del Reventino. Il suo costume consisteva in una camicia lunga e bianca; un panno (rosso per le maritate, marrone per le nubili) leggermente più corto che lasciava intravedere l’orlo bianco della camicia; il corsetto, un busto che modellava meglio la vita e il seno; una camicetta colorata, ricamata e arricciata in vita, spesso sostenuta da un Jippune (bustino); la fadiglia, gonna lunga fittamente impieghettata con grande riccio, lavorata a nido d’ape nella parte superiore. Le donne l’annodavano dietro, ma, nelle processioni, nei lutti o quando si entrava in chiesa o si era in compagnia di signore, le snodavano e le portavano sciolte (sciadate). Sul davanti pendeva un “fadale” di velluto o di altra stoffa ricamata ad intaglio, di pregio diverso per le diverse occasioni. In testa portavano un accessorio detto “mannile” adornato per le cerimonie con uno spillo d'oro. Quando due giovani erano innamorati e i genitori non erano d’accordo il maschio ricorreva allo “scapillamento” della fidanzata: cioè le strappava il “mannile” e così nessun altro l’avrebbe più chiesta in sposa.

Infine, a conferma della enorme varietà negli accessori e nei colori del costume della ‘pacchiana’ calabrese riportiamo, brevemente, le caratteristiche di uno dei costumi più belli: quello della donna di Luzzi così come descritto dalla studiosa Calderini. “La camicia è di bella tela di lino, adorna al collo ed alle maniche da gale arricciate e trinate. Ad essa si sovrappone un aderente corpetto di velluto o seta rosso variamente colorato, più o meno adorno di ricamo, senza maniche, orlato di nastro verde e adorno di bottoni. Sul corsetto è il bustino, allacciato davanti molto in basso, sì da nemmeno mostrare detta allacciatura; è di velluto, di seta calabrese di Cerzeto, Longobucco, Catanzaro, rosso, o di altro colore, spesso ricamato a mano in seta, oro e argento, con maniche di velluto della stessa stoffa. Ad esse si sovrappongono altre maniche per lo più di colore unico o verdi o rosse o lilla scuro che vengono foderate di lino casalingo. Al gomito si usano rovesciare sì da mostrare la parte interna foderata di lino o seta molto ben ricamata e gallonata d’oro e argento. La gonna è della stessa stoffa del bustino, spesso ricamata a mano, a disegni floreali. È molto ampia arricciata in vita; ad essa si aggiunge in rarissime occasioni il grembiule di forma comune di seta a colore vario e a ricami costosissimi. Le calze si intonano alla gonna e vengono variamente ricamate. Scarpette scollate, di pelle nera e con tacco largo e basso. I capelli, spartiti sulla fronte, vengono raccolti in trecce, girate dietro intorno alla testa alternate a lunghi nastri colorati che scendono liberamente dietro, oltre la cintura. La tovaglia che li ricopre è di candido lino trasparente, con ricamino lungo l’orlatura. Molti sono i gioielli, portati solo dalla maritata salvo gli orecchini. Molti giri di catene d’oro lavorato e di perle vere che a volte raggiungono il numero di venti. Medaglioni d’oro lavorato e tempestati di pietre preziose, coralli. Gli orecchini sono lavorati in oro e perle. Anelli d’oro ornati di incisioni, perle, ecc. Bracciale di oro massiccio, con placche ben lavorate, ornate di perle, coralli, pietre preziose. Sul seno spilla d’oro lavorato e con pietre”.