La nascita di Nicastro e Sambiase

Non abbiamo notizie storiche specifiche sul lametino per i primi secoli dell’alto medioevo (V-IX secolo). La Calabria sul finire del VI secolo, sfaldatasi l’unità romana, era divisa in due parti: quella centro-meridionale soggetta a Bisanzio e l’altra ai longobardi dipendenti dal ducato di Spoleto. La piana lametina e il territorio circostante tra la fine del VI sec. e gli inizi del IX si trovavano proprio al centro di queste due aree, mentre alle fine del IX secolo erano in mano ai Bizantini e lo saranno fino a due secoli dopo, caratterizzati da una forte grecizzazione. Ricordiamo che il dominio longobardo, anche se non riguardò direttamente il lametino, ebbe una influenza negativa sul suo paesaggio montano in quanto, come per la cosiddetta Massa Silana, ossia gli immensi boschi della Sila, tutto il comprensorio forestale intorno al monte Mancuso e Reventino, per concessione dei sovrani longobardi, fu sfruttato a favore del pontefice per il Patrimonium Sancti Petri, tanto che buona parte del legname per la costruzione delle basiliche romane proveniva da questi monti.

Lamezia Terme

Carta di Pacichelli

Fu l’imperatore Basilio I il Macedone che, nell’ambito del programma di restaurazione del potere di Bisanzio, nell’anno 885 affidò al generale Niceforo Foca l’incarico della riconquista completa e definitiva del Mezzogiorno d’Italia dal ducato di Benevento alla Sicilia. Niceforo, con un forte esercito riconquistò la Calabria che rischiava di restare oppressa da arabi e longobardi. Infatti, occupò le piazzeforti arabe di Amantea, Tropea e Santa Severina, risparmiando la vita a tutti i musulmani e trasferendoli in Sicilia. Poi, con abile azione diplomatica, si garantì anche la sottomissione dei gastaldati longobardi, acquistandosi anche la benevolenza dei calabresi, sia della classe dirigente che del popolo. L’occupazione bizantina della Calabria si concluse nell’anno 886 e sarebbe durata per quasi altri due secoli. In piena epoca bizantina, tra il IX e l’XI secolo, sorsero prima Nicastro e Sambiase e successivamente S. Eufemia. Neocastron, toponimo tipicamente greco medievale che significa nuova città provvista di un apparato difensivo, la cui fondazione risale certamente a prima del X secolo, richiama l’esistenza di una precedente città vecchia. Al periodo bizantino, tra il VII e il X secolo, risalgono, oltre a monumentali fortificazioni urbane come quella di Nicastro, anche strutture fortificate minori presenti nel territorio lametino. Si tratta di veri e propri recinti murari a difesa di piccoli insediamenti. E’ il caso, ancora in fase di studio, del Piano della Tirena in agro di Nocera Terinese. Qui, secondo Paolo Orsi, su una collinetta in posizione di controllo di una delle grandi e antichissime vie di comunicazione dal Tirreno allo Ionio, sarebbe sorto, probabilmente fino al X secolo, un piccolo insediamento recinto da mura. Si tratta di mura medievali, prive di torri e di spessore esiguo e costante quasi ovunque, oscillante intorno ai 93-95 cm., costruite utilizzando ‘sfaldature di pietra del luogo, disposte a letti, ben azzeppate, e cementate con buona e resistente malta di calce’.

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Nicastro 1847

Un analogo insediamento fortificato, cinto da mura, poi utilizzato e rafforzato in età normanna e sveva, sarebbe stato costruito sul monte Tiriolo a controllo dell’istmo lametino-catanzarese. Il nome Neocastron risulta registrato per la prima volta, dopo la riconquista bizantina di Niceforo Foca e la riorganizzazione del Thema di Calabria, nella cosiddetta Notitia o Diatyposis (cioè distribuzione per province) di papa Leone VI (886-912) che contiene l’elenco delle sedi vescovili, arcivescovili o metropolitiche. In questo elenco la diocesi di Nicastro è indicata come suffraganea (cioè sottoposta) della chiesa metropolita di Reggio. Essa avrebbe preso il posto di una precedente diocesi di Torri, una sorta di città-diocesi, sorta sulla via Popilia, non lontano dalla foce del fiume Amato, distrutta dai saraceni tra VIII e IX secolo. In effetti, anche se allo stato attuale non ci sono dati certi su questa ipotesi, una località denominata Torri figura nella piana lametina come sede di una stazione di posta nel cosiddetto Itinerarium Antonini, itinerario romano risalente all’epoca dell’imperatore Vespasiano (69-79 d. C.). Inoltre una chiesa con questo nome figura in una lettera del papa Gregorio Magno del 601.

Goffredo Malaterra, biografo del re normanno Ruggero, nella sua opera che si spinge con la cronaca sino alla fine del XII secolo, riferendo delle civitates et fortissima castra della Calabria, riporta i nomi ormai latinizzati di castella, castra, urbes, casalia. Tra le urbes figurano: Cusentia, Geracium, Regium, Russanum. Tra i castra: Ayellum e Marturanum (nella valle del Savuto), Catanzarium, Mayda, Skillacium e Neocastrum (nell’area istmica). Anche in altre fonti normanne, come Amato di Montecassino, ricorrono i termini castrum e castellum. Castrum designa l’abitato fortificato, castellum la fortezza leggera fondata ex novo durante un assedio oppure un edificio fortificato destinato ad ospitare un comandante o un feudatario. Nel brebion (ossia registro, catalogo, inventario dei beni) della metropolìa di Reggio, databile a metà dell’XI secolo, sono elencati nell’area nicastrese anche i monasteri di S. Eufemia, di S. Costantino e dei Santi Quaranta, i due ultimi provenienti per donazione alla metropolìa di Reggio da parte dello stesso arcivescovo metropolita Leone. Il monastero di S. Costantino sarebbe sorto in prossimità del bosco del Carrà dove poi sorse quello di S. Maria del Carrà. Quello dei Santi Quaranta era nei pressi di Caronte in agro di Sambiase, centro sorto a sua volta intorno al monastero intitolato a S. Biagio, mentre intorno al monastero intitolato a S. Eufemia, vergine e martire di Calcedonia in Bitinia, uccisa il 16 settembre dell’anno 303 nel corso della terribile persecuzione scatenata contro i cristiani dall’imperatore Diocleziano (285-312 d. C.), sorse l’abitato di S. Eufemia. Esso prese il nome della Santa Martire cui era intitolato il monastero, così come tante altre località calabresi, che portano nomi di santi, hanno avuto origine da formazioni di nuclei di coloni intorno ai monasteri greci della regione. Il cosiddetto Libro di Ruggero, importante fonte araba sulla Calabria del XII secolo, di cui è autore Idrisi (geografo del re normanno), scritta a Palermo tra il 1139 e il 1154, nella descrizione delle città della Calabria, piccole e popolose, ricche di traffici, con porti fluviali sul mare, cita Sant’Eufemia posta “alla foce del fiume Amato”. Sui ruderi dell’antico monastero basiliano, sfruttando anche i resti di una vetus civitas, sorgerà per volere di Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo (l’astuto), l’abbazia benedettina il cui diploma di fondazione è dell’anno 1062.