Scheria

LA MITICA TERRA DEI FEACI NELL’ISTMO LAMEZIA-SQUILLACE

Uno dei problemi più interessanti dell’Odissea, il rebus principale del poema omerico, vero e proprio enigma, è la questione dei Feaci di cui si parla nella parte centrale dell’Odissea (il Ritorno di Ulisse) attraverso il racconto fatto dall’eroe greco nella corte del re Alcinoo. Questa parte, che potrebbe essere stata anche un’opera a se stante, è stata ed è oggetto di dibattiti, interpretazioni e discussioni fin da quando più di trent’anni fa i fratelli Armin e Hans Wolf, basandosi sui dati nautici e geografici forniti da Omero, ripercorsero il viaggio di Ulisse e pubblicarono i risultati nei volumi Der Weg des Odysseus (1968) e Die wirkliche Reise des Odysseus (1983 e 1990). La loro teoria sulla possibile identificazione dell’area dell’istmo calabrese, tra il golfo di S. Eufemia e quello di Squillace, con la mitica terra del re Alcinoo è stata illustrata in un documentario della rete televisiva tedesca ZDF (TERRA-X) ed è stata ripresa da chi scrive nel volume Scheria, la terra dei Feaci.

Lamezia Terme

L'itinerario di Ulisse

A sostegno della teoria ci sono i riscontri che i Wolf hanno puntualmente individuato. Calipso, figlia di Atlante, che da 7 anni trattiene Ulisse prigioniero nella sua isola, riceve da Zeus l’ordine di lasciarlo partire. Ulisse si imbarca, solo, su una zattera che egli stesso ha costruito. E’ colpito da una tempesta e arriva come naufrago sulla spiaggia del paese dei Feaci. Qui è accolto da Nausicaa, figlia del re Alcinoo. Accompagnato alla reggia, il re e la sua sposa Arete gli fanno festa con i più nobili dei Feaci. Ulisse racconta loro le numerose prove cui ha dovuto far fronte dopo la partenza da Troia, le peregrinazioni attraverso il mar Tirreno e la prigionia di sette anni presso Calipso. Ottiene di essere ricondotto a Itaca dai marinai Feaci e finalmente riesce a mettere piede sul suolo della sua patria. La cosa che ci colpisce di più è il ruolo importante che hanno i Feaci. Un ruolo materiale, ma anche morale. La sorte di Ulisse è nelle loro mani: la sua vita e il ritorno ad Itaca dipendono soltanto da essi. I Feaci danno ad Ulisse un ritorno che nessun mortale gli avrebbe mai potuto dare né lui da solo avrebbe potuto ottenere. Un viaggio dal mondo degli dei dove è rimasto intrappolato per 10 anni al mondo degli uomini. I Feaci, in verità, costituiscono un popolo assai piccolo che vive in un mondo molto diverso da quello greco. I Feaci non conoscono la guerra e condividono valori così diversi da quelli greci. Quel che per i greci è bravura (la lotta, il lancio dell’asta) per i Feaci non è tale. Non sono guerrieri, dunque, i Feaci. Sono un popolo di marinai che si procura pacificamente da vivere e che ama vivere bene. Diversa appare anche la condizione della donna nella terra dei Feaci. Addirittura la regina Arete amministra la giustizia.

Omero dei Feaci vuole quasi farne una razza superiore. E manifesta questo sentimento in vari modi. Dice, infatti, che i Feaci sono felici al pari degli dei; le loro navi volano sul mare rapide come il pensiero; i loro marinai sono i primi navigatori al mondo; i loro danzatori e acrobati sono artisti straordinari, anzi di più, sono i migliori. Essi amano ascoltare il canto degli aedi. Si tratta di ammirazione e di lodi a getto continuo e fino all’iperbole. Di fronte all’importanza così manifesta di questo popolo agli occhi di Omero, di fronte all’atteggiamento di meraviglia che il poeta assume nei loro riguardi, si è portati a credere che i Feaci abbiano occupato un posto importante nella storia antecedente la colonizzazione greca. Ma questo popolo, invece, è del tutto ignorato dagli storici e il loro paese è sconosciuto anche ai geografi. Non ha lasciato alcuna traccia di sé. Il suo ricordo vive solo nell’Odissea. I Feaci costituiscono la chiave di volta del viaggio di Ulisse. Perciò individuare quale sia, nel racconto mitico, la loro terra significa poter ricostruire con altrettanta certezza l’itinerario dell’Odissea.

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Armin Wolf

Quali sono allo stato attuale le posizioni degli studiosi sui Feaci?

Una prima tesi è quella di coloro i quali (come O. Rieman) sostengono che questo popolo non sia mai esistito e che sia frutto di pura immaginazione da parte di chi ha scritto l’Odissea. Vicina a questa tesi è quella dei mitografi come P. Decharme e Welckler i quali sostengono il carattere mitico dei Feaci. C’è poi la posizione degli antichi greci i quali erano convinti che i Feaci fossero esistiti davvero e li identificavano con gli abitanti dell’isola di Corcira (oggi Corfù), la più settentrionale delle isole ionie, presso le coste albanesi. Malgrado l’incredulità di Eratostene, Aristarco e Didimo, questa tradizione, ricordata da Tucidide (I, 25) ha fatto fortuna nell’antico mondo greco sia in epoca classica che in epoca postclassica. Infatti i Corciresi, per dare credito alla tradizione, elevarono un santuario ad Alcinoo, dettero il nome di questo re-eroe ad un porto e coniarono monete col busto di Nausicaa. I tentativi di ricostruire l’esatto viaggio di Ulisse vennero ripresi in epoca moderna ad iniziare dall’età umanistica fino ai nostri giorni con innumerevoli e purtroppo assai differenti proposte di identificazione, molte delle quali veramente fantasiose e prive di fondamento. Comunque tutte hanno in comune la convinzione che l’Odissea abbia un valore documentario. Che cioè l’Odissea sarebbe opera di immaginazione solo nella sua tessitura, mentre la parte centrale (Il ritorno) di cui ci stiamo occupando sarebbe soprattutto un’opera di osservazione. Tutte le ricostruzioni più recenti hanno come fondamento la certezza che il racconto fatto da Ulisse al re Alcinoo e alla sua corte non sia altro che il resoconto di un viaggio compiuto realmente da un navigante antico, quasi il resoconto trascritto nel suo “diario di bordo”. Addirittura c’è chi si è spinto oltre, sostenendo che tutte le tappe e alcuni degli episodi narrati nell’Odissea non siano il resoconto di un solo viaggio effettuato da un solo navigatore, ma siano la somma di vari resoconti di differenti viaggi effettuati da diversi navigatori, ma attribuiti ad uno solo chiamato Ulisse. L’attribuzione ad un solo navigatore di viaggi fatti da altri troverebbe conferma nella circostanza che, secondo la massima parte degli studiosi moderni, l’unità di composizione dell’Odissea è soltanto apparente, dato che il poeta che effettuò la composizione scritta e quasi definitiva del poema in realtà fece un’opera di assemblaggio di canti più antichi e tramandati per via orale. Le interpretazioni sulla individuazione di Scheria a tutt’oggi sono più di 80.

Le tesi più recenti che hanno riscosso una certa credibilità nei mass media, se non presso gli studiosi, sono essenzialmente quelle di Felice Vinci e Massimo Pittau, oltre naturalmente quella che a noi sta a cuore dei Wolf . Felice Vinci, un ingegnere nucleare appassionato di mitologia greca, fondendo archeologia e filologia omerica, in due suoi libri intitolati Homericus nuncius e Omero nel Baltico (Fratelli Palombi editori) sostiene la tesi dell’Odissea nordica, ossia che le vicende sia dell’Iliade che dell’Odissea si siano svolte in quel mare. Ciò che ha dato il via alla tesi di Vinci è stato un passo di Plutarco in cui lo storico greco poneva l’isola di Calipso (Ogygia) a nord della Britannia, a 5 giorni di navigazione: probabilmente l’arcipelago delle Far-Oer. Seguendo poi le rotte dell’Odissea, Vinci ha individuato Scheria (la terra dei Feaci, che mai Omero chiama isola) in Norvegia; il Peloponneso e Itaca nelle isole occidentali della Danimarca; la Troade in Finlandia sulle sponde del Baltico. Lì nella zona di Toija, a parte le armi dell’età del bronzo, Vinci dice di aver ritrovato un vero e proprio “giacimento toponomastico”: ossia tanti insediamenti che portano nomi curiosamente ‘omericheggianti’. L’altra recente teoria è quella di Massimo Pittau il quale contro la ricostruzione nordica di Vinci sostiene che l’area geografica dell’Odissea era il Mediterraneo centrale. Di questo Mediterraneo – sostiene Pittau – la Sardegna costituiva un punto centrale e perfino essenziale. E, benché non sia esplicitamente citata con questo nome nell’Odissea, era una delle terre presso le quali si svolgevano i viaggi di Ulisse e degli altri naviganti che lo avevano preceduto o seguito. L’Odissea – dice ancora Pittau – non cita mai la Sardegna. Ma si deve ritenere che il poeta abbia invece fatto preciso riferimento alla Sardegna, chiamandola in un altro modo, cioè SCHERIA, o isola dei Faci (ma, come abbiamo già detto e come sostiene fermamente Wolf, non è mai chiamata isola nell’Odissea). L’isola dei Feaci – conclude Pittau – era la Sardegna dell’età nuragica. L’ipotesi che, allo stato attuale delle ricerche, appare la più accreditata e per noi molto suggestiva è quella dei fratelli Wolf, in particolare di Armin, il quale per ben 8 anni ha ripercorso l’avventuroso ritorno di Ulisse utilizzando i dati nautici e geografici forniti da Omero. Wolf sostiene che Scheria, la terra dei Feaci, se mai questa è davvero esistita nella realtà, doveva essere nella Calabria attuale, particolarmente nel più breve istmo tra i due mari (tra il golfo di Sant’Eufemia e quello di Squillace). Sulla spiaggia di Sant’Eufemia, alla foce del fiume Amato, Ulisse sarebbe naufragato e avrebbe incontrato Nausicaa. A Tiriolo, capitale del regno e sede della reggia di Alcinoo, racconta le sue peregrinazioni. Poi dalla spiaggia di Squillace sarebbe partito, accompagnato dai navigatori Feaci, verso Itaca.

La teoria di Wolf si basa su alcuni dati concreti e, soprattutto, sui riscontri avuti nella ricostruzione geografica dell’itinerario di Ulisse. Infatti, sostiene Wolf, dai dati direzionali del viaggio forniti da Omero è possibile ricostruire un itinerario ipotetico. Questo itinerario si concilia con i dati della natura del Mediterraneo, identificando i luoghi esistenti nella realtà. Questo itinerario è percorribile nei tempi di viaggio risultanti dal testo omerico. Tutto questo porta alla conclusione che alla base dell’Odissea stanno effettivamente conoscenze della geografia reale che possono farsi risalire ad esperienze dirette o indirette di viaggio. Questo significa che nel suo poema Omero contestualizzò la leggenda di Ulisse includendovi le rotte di navigazione all’interno del Mediterraneo. In ogni caso il poema dell’VIII secolo a. C. contiene veramente il rapporto di un viaggio di un uomo. Storicamente questo risultato è importante perché sulla base della sua ricostruzione Wolf sostiene di aver trovato nell’Odissea la più antica descrizione dell’Occidente e il primo documento scritto riguardante la storia d’Italia. Precedente di alcuni secoli a tutte le altre testimonianze conservatesi sulla Sicilia e sulla Calabria. Il viaggio di Ulisse sarebbe, quindi, una testimonianza unica dei viaggi di esplorazione dei greci, immediatamente prima dei viaggi di colonizzazione. La contemporaneità del racconto omerico e l’inizio della colonizzazione greca è ciò che rende la teoria di Wolf degna di fede. Se, dunque, la terra dei Feaci corrispondeva all’area istmica calabrese e Tiriolo ne era la capitale e il porto sullo Jonio era nei pressi della greca Schylletion (Roccelleta di Borgia), l’Odissea, insieme ad una citazione del più antico storico siciliano (Antioco siracusano, vissuto verso la fine dell’VIII sec a.C.), acquista un valore straordinario.

Antioco scrisse: “L’intera terra fra i due golfi di mari, il Nepetino (S. Eufemia) e lo Scilletinico (Squillace), fu ridotta sotto il potere di un uomo buono e saggio, che convinse i vicini, gli uni con le parole, gli altri con la forza. Questo uomo si chiamò Italo che denominò per primo questa terra ITALIA”.

Successivamente il nome Italia si estese dall’istmo all’intera Calabria attuale e, quindi, a tutta la penisola. Secondo la testimonianza riportata da Antioco vi era effettivamente una civiltà evoluta che precedette la colonizzazione greca negli stessi luoghi descritti da Omero come “terra dei Feaci”. Se, dunque, - sostiene Wolf – dai risultati degli scavi archeologici nell’area dell’istmo calabrese verrà fuori la terra dei Feaci, troveremo in Tiriolo la prima capitale d’Italia e in Ulisse il primo viaggiatore della storia che sbarcò a S. Eufemia.